Corso di sceneggiatura
Come si scrive un film è un Corso di Sceneggiatura on line in 24 lezioni di Alessandro Ippolito. Per seguire con profitto questo Corso Come si scrive un film occorre immaginazione, passione per il Cinema e per la Scrittura. In effetti questo Corso di Sceneggiatura può essere seguito da tutti coloro che vogliono raccontare una storia con parole, suoni e immagini in movimento, da tutti coloro, insomma, che vogliono scrivere una sceneggiatura, un film ma non sanno da dove cominciare.
Con questo Corso di Sceneggiatura on line gli studenti impareranno come si scrive un film in modo corretto e compiuto. E potranno farlo poi da soli partendo da un soggetto originale o già esistente, ad esempio in narrativa.
Nel Corso di Sceneggiatura on line di Alessandro Ippolito – Come si scrive un film – il metodo di insegnamento e il relativo metodo di apprendimento si basano sulla pratica della scrittura che viene condivisa scena dopo scena, inquadratura dopo inquadratura, davanti agli occhi dello studente.
Al termine del Corso, – Come si scrive un film – si avrà una sufficiente conoscenza teorica, tecnica e pratica del lavoro che consentirà di scrivere appunto, compiutamente, una intera sceneggiatura.
Lavorare come Sceneggiatore
Nel precedente Corso di regia e Riprese Video , Alessandro Ippolito, parlando di INQUADRATURA, spiega che “l’INQUADRATURA è lo SPAZIO delimitato entro il quale si svolge una determinata AZIONE in un determinato TEMPO”. Più INQUADRATURE – continua Ippolito più avanti nel Corso – formano una SCENA. Più SCENE – dico adesso – formano una SCENEGGIATURA.
“Ma prima di decidere di imparare come si scrive un film, prima che voi cominciate a “sognare” sulla professione dello sceneggiatore – dice Alessandro Ippolito – voglio buttare acqua sul fuoco dei vostri entusiasmi. Vi rimando pertanto ad alcuni brani sul mestiere dello sceneggiatore tratti dal romanzo “Il disprezzo” di Alberto Moravia. Se queste parole dello scrittore non riusciranno a spegnere quel fuoco, be’ avete qualche speranza di poter fare questo duro e difficile lavoro.
“(…) lo sceneggiatore è colui che scrive, per lo più in collaborazione con altro sceneggiatore e con il regista, la sceneggiatura ossia il canovaccio dal quale, in seguito, sarà tratto il film. Nella sceneggiatura, uno per uno, secondo gli sviluppi dell’azione, sono minuziosamente legati i gesti e le parole degli attori e i diversi movimenti della macchina da presa”. Qui Moravia dimenticava i MOVIMENTI degli attori nella inquadratura, ma osservava che “ (…) la sceneggiatura è, dunque, al tempo stesso, dramma, mimica, tecnica cinematografica, messa in scena, regia”.
Il mestiere dello sceneggiatore
Nel 1963, dal romanzo di Moravia, Jean-Luc Godard trasse un film omonimo, con Brigitte Bardot e Michel Piccoli. In effetti le pagine di Moravia sono estremamente interessanti perché di come si scrive un film e del mestiere dello sceneggiatore parla uno scrittore. Ne parla cioè una persona cioè che, come forse molti di voi che mi state leggendo, si è avvicinata alla sceneggiatura come scrittore, appunto, e non come cineasta.
Sentite Moravia. “(…) Ora, sebbene la parte dello sceneggiatore nel film sia di prima importanza e venga irrimediabilmente dopo quella del regista, per ragioni inerenti allo sviluppo sinora seguito dall’arte del cinema, essa rimane sempre irrimediabilmente subordinata e oscura. Se infatti si giudicano le arti dal punto di vista dell’espressione diretta (…) lo sceneggiatore è un artista che, pur dando il meglio di sé al film, non ha poi la consolazione di sapere che avrà espresso se stesso. Così, con tutto il suo travaglio creativo, egli non può essere che un fornitore di trovate, di invenzioni, di accorgimenti tecnici, psicologici, letterari. Spetta poi al regista di adoperare questa materia secondo il suo genio e, insomma, di esprimersi. Lo sceneggiatore, dunque, è l’uomo che rimane sempre nell’ombra, che si svena del suo miglior sangue per il successo di altri (…). E, sebbene la fortuna del film dipenda per due terzi da lui (…) non vedrà mai il proprio nome sui cartelloni pubblicitari dove sono invece indicati quelli del regista, degli attori e del produttore. Egli può, è vero, come avviene spesso, raggiungere anche l’eccellenza in questo suo mestiere subalterno, ed essere pagato molto bene; ma non può mai dire: “Questo film l’ho fatto io… in questo film mi sono espresso… questo film sono io…”.
Questo film l’ho fatto io
Moravia scrisse questo romanzo nel 1954. Non poteva certo immaginare che, grazie allo sviluppo della tecnologia, imparare come si scrive un film sarebbe diventato un desiderio comune a molti. Sessant’anni dopo, infatti, sarebbero nate figure professionali come quella del filmmaker che comprendono, tutte insieme, anche il mestiere del regista, del cameraman, del produttore. “Questo film è mio”, osservava Moravia, può dirlo soltanto il regista perché è il solo che firma veramente il film”. Lo sceneggiatore invece deve “contentarsi di lavorare per il denaro che riceve, il quale, lo voglia o no, finisce per diventare il vero e solo scopo del suo lavoro. Così allo sceneggiatore non rimane che godersi la vita”. Con quel denaro, dice Moravia, che è il solo risultato della sua fatica, passando da una sceneggiatura all’altra, da una commedia a un dramma, da un film di avventure a un film sentimentale, senza interruzione, senza pause (…)”.
Lo Sceneggiatore e il Regista
Ma oltre a questi inconvenienti, per Moravia il mestiere dello sceneggiatore ne ha altri che sono altrettanto fastidiosi. Alla domanda come si scrive un film risponde lo stesso Moravia: “(…) Al contrario del regista, che gode di fronte al produttore di una tal quale autonomia e libertà, lo sceneggiatore non può che accettare o rifiutare la sceneggiatura che gli viene proposta. Ma una volta accettata la sceneggiatura non può in alcun modo scegliere i suoi collaboratori. Egli viene scelto, non sceglie. Avviene così che secondo simpatie, la convenienza, il capriccio del produttore o semplicemente il caso, lo sceneggiatore si trova costretto a lavorare con persone che gli sono antipatiche, che gli sono inferiori per cultura e civiltà, che lo irritano con tratti di carattere e maniere che non sono di suo gusto. Ora lavorare insieme a una sceneggiatura non è come lavorare insieme, poniamo, in un ufficio o in una fabbrica, dove ognuno ha un suo lavoro da fare indipendentemente dal suo vicino dove i rapporti possono essere ridotti a ben poco, se non addirittura aboliti. Lavorare insieme ad una sceneggiatura vuol dire vivere insieme, dalla mattina alla sera, sposando e fondendo la propria intelligenza, la propria sensibilità, il proprio animo a quello degli altri collaboratori. Vuol dire, insomma, creare, per quei due o tre mesi che dura la sceneggiatura, una fittizia e artificiosa intimità che ha per solo scopo la fattura del film e dunque, in ultima analisi, come ho già accennato, il denaro.
Lavorare con gli sceneggiatori
Questa intimità poi è della peggior specie, ossia la più stancante, snervante e sazievole che si possa immaginare. Perché fondata non su un travaglio silenzioso, come potrebbe essere quello di scienziati che si dedichino insieme a qualche esperimento, ma sulla parola. Il regista di solito raduna i suoi collaboratori fin dalle prime ore del mattino, ché così vuole la brevità del tempo concesso alla fattura del copione; e dalle prime ore del mattino fino a notte, gli sceneggiatori non fanno che parlare, per lo più tenendosi al lavoro, ma spesso, per volubilità o stanchezza, divagando insieme sui più disparati argomenti. Chi racconta aneddoti scollacciati, chi espone le proprie idee politiche, chi fa della psicologia su questa o quest’altra persona di comune conoscenza, chi parla di attori o di attrici, chi si sfoga intorno ai propri casi personali. Intanto, nella stanza in cui ha luogo il lavoro, l’aria si riempie del fumo delle sigarette, le tazze di caffè si ammucchiamo sui tavoli accanto ai fogli della sceneggiatura e gli sceneggiatori che vi erano entrati al mattino compiti, pettinati in ordine, si ritrovano, a sera, arruffati, in maniche di camicia, sudati e scarmigliati peggio che se avessero dovuto sforzare una donna frigida e restìa. (…)”.
Lo sviluppo del personaggio narrante, nel romanzo di Moravia, spiega questa visione disperata del mestiere di sceneggiatore. Ma, per chi cerca di imparare come si scrive un film, come si esercita questa professione di sceneggiatore, credetemi, ed è per questo che ve l’ho proposta, corrisponde in larghissima parte al vero. Ecco una piccola concessione dello scrittore: “(…) Naturalmente può anche avvenire che il film sia di qualità superiore, che il regista e i collaboratori siano legati già in precedenza da vicendevole stima e amicizia… ma queste favorevoli combinazioni sono rare, come, appunto, sono rari i buoni film”.
Come si scrive un film
C’è un altro passaggio del libro altrettanto veritiero e direi anche divertente: “(…) Appena entravo in casa del regista e lui mi accoglieva nel suo studio con una frase di questo genere: “Allora ci hai pensato stanotte? Hai trovato la soluzione? Provavo una senso di fastidio e di ribellione. Poi, durante il lavoro, tutto mi appariva in una luce di impazienza e di disgusto. Le divagazioni di ogni sorta con le quali registi e sceneggiatori, come ho già accennato, cercano di alleviare le lunghe ore di discussione. L’incomprensione o ottusità o semplice disparità di opinione dei miei collaboratori via via che si scriveva il copione. Perfino le lodi del regista per ogni mia trovata o risoluzione. Lodi che mi sapevano di amaro perché mi pareva, come ho già detto, di dare il meglio di me stesso per qualche cosa che in fondo non mi riguardava e a cui non partecipavo volentieri. Anzi quest’ultimo inconveniente mi apparve in quei giorni come il più intollerabile. E non potevo fare a meno, ogni volta che il regista, con il linguaggio demagogico e popolaresco che è proprio a molti di loro, saltava sulla seggiola esclamando: “Bravo. Sei un cannone!”, di pensare con dispetto: “Questo avrei potuto metterlo in un mio dramma, in una mia commedia (…)”.
Sceneggiatura: soldi e creatività
Per imparare come si scrive un film bisogna imparare soprattutto a lavorare in squadra. Secondo Moravia le sceneggiature rassomigliano un poco ai vecchi tiri a quattro in cui c’erano “(…) cavalli più forti o più volenterosi che tiravano e altri che fingevano di tirare, mentre in realtà si lasciavano trascinare dai loro compagni. Ebbene, con tutta la mia impazienza e il mio disgusto, io ero sempre il cavallo che tirava; gli altri due, il regista e il collega di sceneggiatura, come mi accorsi ben presto, sempre aspettavano, di fronte a qualche difficoltà, che io mi facessi avanti con la mia soluzione. E io, pur maledicendo dentro di me il mio scrupolo e la mia facondia, non mi facevo pregare e con subitanea ispirazione fornivo la soluzione. Non ero spinto a far questo da alcuno spirito di emulazione, bensì da un impulso di onestà più forte di qualsiasi volontà contraria: ero pagato, dunque dovevo lavorare. Ma ogni volta mi vergognavo di me stesso e provavo un senso di avarizia e di rimorso, come a sperperare per pochi denari qualche cosa che non aveva prezzo e di cui, comunque, avrei potuto fare un uso infinitamente migliore. (…)”.
Corso on line di Sceneggiatura
Se dopo avere seguito Come si scrive un film ovvero questo Corso di sceneggiatura – conclude Alessandro Ippolito – deciderete di approfondire questa professione e di intraprendere questa via lavorativa, vi torneranno in mente queste pagine di Moravia che vi ho proposto, ahimè ancora ora corrispondenti al vero. Anche se in realtà le serie televisive più di successo oggi contano quasi sempre su un gruppo di sceneggiatori affiatati e compatti. Valga per tutti l’esempio di “Lost” o di “Breaking Bad”. Del resto è nell’interesse del produttore riunire sceneggiatori che siano in armonia con gli altri e che in squadra riescano a dare il meglio di sé. Nei dipartimenti fiction italiani, purtroppo, sessant’anni dopo “Il disprezzo”, la composizione di un team di sceneggiatori non segue ancora criteri oggettivi di valutazione”.